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venerdì 3 aprile 2020

(496) Belle and Sebastian - A Century Of Fakers

Anno: 1997
EP: 3 6 9 Seconds Of Light





A Century Of Fakers non è la canzone più memorabile dei Belle & Sebastian. Eppure capita che ci siano canzoni che oggettivamente non siano gran chè e che soggettivamente ti smuovano qualcosa dentro.
Nel 1997 la band di Stuart Murdoch aveva già all'attivo due album - il seminale, programmaticamente naif Tigermilk, e il più rifinito If You're Feeling Sinister.  Poco convinto della produzione troppo precisa dell'ultimo lavoro, Murdoch aveva optato per un ritorno alle origini e decretato che tutto quello che avrebbe registrato in quell'anno avrebbe avuto un suono quanto più possibile live. Per farlo, è cosa arcinota nela biografia dei B&S, l'intero gruppo si era trasferito armi e bagagli in una chiesa sconsacrata della natia Glasgow e lì erano nati tre EP usciti di seguito. 
A Century Of Fakers è il pezzo apripista dell'ultimo EP, uscito appena prima dell'album capolavoro, The Boy With The Arab Strap, che era già in gestazione in quel torno di mesi. Mesi evidentemente in cui il gruppo stava davvero ingranando, non tanto a livello di popolarità, quanto proprio a livello musicale, trovando a poco a poco una convergenza miracolosa tra la spontaneità twee degli esordi e un songwriting più eclettico e rotondo.
In tutto il processo di crescita della band, A Century Of Fakers non suona certo come il prezioso anello mancante: è una canzone "prima maniera" concepita in un momento in cui la "prima maniera" ormai era stata un po' lasciata indietro. La melodia è splendida, certo, e gentilmente atemporale come ogni frutto della penna di Murdoch in quegli anni. Le liriche sono stralunate, impenetrabili e geniali come sempre, con questi squarci di umanesimo tra l'evangelico e il socialista. La partitura poi è quella dei B&S dei tempi d'oro, sapientemente sulla soglia della stonatura, con le pigre chitarre jangly, il violino e il violoncello a punteggiare, la voce (qui) un po' piatta di Murdoch che viene impreziosita dai cori di Stevie Jackson e Isobel Campbell. 
Già, Isobel Campbell. Che in questo video, che all'epoca passò forse un paio di volte a notte fonda su MTV - l'indie del 1997 non contemplava l'assenza totale di spigoli e la malinconica nostalgia della band di Glasgow - si aggira luminosa e angelica in una rappresentazione post post nouvelle vague che è un po' il manifesto visivo dei B&S. Isobel Campbell è stata la chiave di volta della band. Quando se n'è andata, nulla è stato più lo stesso. E un po' a A Century Of Fakers mi pare che racconti proprio questo: un momento di grazia, il gruppo nella sua perfezione (li vedete comparire tutti insieme a 3:53, per un attimo), una di quelle foto di famiglia leggermente ingiallite dal tempo che hanno il potere di spalancare mondi.

lunedì 23 marzo 2020

(497) The Field Mice - Emma's House

EP: Emma's House 
Anno: 1988



Quante chitarre ci sono, da sempre, appoggiate di fianco al letto nell'ordinato disordine di tante camerette adolescenziali? Quante canzoni sono state scritte in quelle quattro mura? E quante addirittura registrate lì dentro, con strumentazioni di fortuna? Qualcuno ha coniato la definizione bedroom pop, ed è diventato quasi un genere. I canoni? Semplicità esibita, livelli di strumenti e voci sballati, un'idea di spontaneità più o meno sfrontata.
Certo, non sempre funziona. Ci vuole prima di tutto la canzone. Se c'è quella, puoi riempirla o svuotarla come vuoi, ma funziona sia registrata in salotto che agli Abby Roads. 
Prendete Emma's House dei Field Mice. Robert Wratten e Michael Hiscock, due ventenni della periferia londinese, l'hanno concepita così sullo scorcio degli anni '80: strimpellando una chitarra acustica e una elettrica (Robert), un basso (Michael) e una drum machine, inseguendo una linea melodica di malinconica luminosità, quietamente circolare come l'alternarsi pigro dei giorni in un decoroso grigio suburbio inglese, e cantando liriche di onesta solitudine sentimentale, che è la colonna di ogni serio songwiting quando hai vent'anni. 
Quando l'hanno incisa per davvero in uno studiolo dietro casa (niente più che un'altra cameretta, in verità!) - destinata a diventare il 7" numerato 012 della Sarah Records - non hanno aggiunto nulla. La canzone c'era già. Ed era, nella sua gentile cristallina sincerità, nel suo inesorabile sovrapporsi di chitarre, nei suoi versi che sfiorano l'autocommiserazione ma si fermano sulla soglia e vanno incontro all'alba, un capolavoro.